TRAIETTORIE ATIPICHE NELLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO. RITARDO O DISTURBO? Il linguaggio è certamente una competenza innata che ai più appare scontata ma che necessita di un naturale percorso di acquisizione durante i primissimi anni di vita. Il mancato raggiungimento di una soglia minima di parole conosciute, più o meno 50 intorno al primo anno di età, se da una parte sembra pregiudicare la capacità combinatoria delle parole in un contesto comunicativo, essa è comunque suscettibile di variazioni in relazione alle caratteristiche individuali, le quali interagendo con variabili sia di tipo neurobiologico, sia con quelle socio-ambientali e relazionali, determinano per ogni bambino tempi e strategie differenti nel raggiungimento e nell’acquisizione di un linguaggio che sia comprensibile ma anche efficiente nel veicolare messaggi. Comunque è da precisare che non tutti i bambini che presentano quindi un suo esordio in ritardo sviluppano successivamente un disturbo del linguaggio. L’individuazione di indici precoci di rischio sotto i 3 anni come ad esempio, un babbling prelinguistico scarsamente presente, accompagnato da un repertorio ristretto di gesti e da un inventario fonetico molto ristretto (Paul e Jennins 1992; Orsolini 2000; Bonifacio, Stefani e Zocconi 2005), insieme al ritardo espressivo, la comprensione lessicale, la produzione di gesti simbolici e la comprensione verbale precoce che in generale appaiono deficitarie (Fischel et al. 1989; Rescorla e Schwartz 1990; Cipriani et al. 2002; Chilosi et al. 2006), permettono di fare una diagnosi differenziale tra ritardo, che può essere transitorio, e disturbo del linguaggio, che invece è invece persistente. Molti bambini che a 12 mesi hanno un vocabolario inferiore a 25 paroline e che a 2 anni mostrano una assenza di linguaggio combinatorio sono definiti “late talkers”, cioè parlatori tardivi che richiedono di essere attenzionati almeno fino all’età di 3 anni. Proprio nell’ambito di questo gruppo di bambini possono essere individuati dei fattori predittivi rispetto al successivo sviluppo linguistico, consentendo di fare delle scelte mirate rispetto ad un intervento precoce. Quello relativo a uno sviluppo atipico del linguaggio è una realtà alquanto diffusa nei centri di riabilitazione, dove i logopedisti sono chiamati ad un intervento che si spera, se effettuato precocemente e mirato ad obiettivi step by step, a produrre il migliore esito possibile per ogni bambino che riceve una diagnosi di disturbo del linguaggio, quando questo, caratterizzato da disfluenza, difficoltà fonetico-articolatolorie o di tipo fonologico, come distorsioni ed omissioni di fonemi, non è intellegibile cioè poco comprensibile. Le possibili conseguenze Dietro un disturbo specifico del linguaggio di ogni bambino, si cela un vissuto emotivo che connota la sua evoluzione, sia da un punto di vista fenomenologico che comportamentale. Infatti il piccolo avverte la sua difficoltà e la percepisce come una incompetenza, per questo spesso tende a isolarsi, e rifiuta di interagire con gli altri con il timore di essere preso in giro. Le ripercussioni sono quindi evidenti sulla sua autostima e sul senso di autoefficacia proprio perché egli non si sente al pari degli altri. Inoltre, spesso un disturbo del linguaggio ha molte probabilità di evolvere o di essere in comorbidità con i disturbi specifici dell’apprendimento, in particolare relativi alla lettura e alla scrittura. È evidente quanto sia importante intervenire preventivamente rispetto ai primi segnali di rischio, ravvisabili in un ritardo nella comparsa del linguaggio nei tempi previsti per l’età cronologica oltre che nella qualità della performance di tipo verbale. Epidemilogia e comorbidità Riguardo all’epidemiologia, la prevalenza dei DSL si attesta intorno al 5-7% della popolazione in età prescolare e il 50% dei bambini con DSL spesso presenta in comorbidità un disturbo dell'apprendimento scolastico, con particolare riferimento alle competenze linguistiche e logico-matematiche, o altri disturbi del Neurosviluppo, come ADHD, disturbo della coordinazione e disturbo della comunicazione sociale pragmatica.